The Affective City/2

The Affective City / 2

Abitare il Terremoto

a cura di Federico De Matteis e Stefano Catucci

LetteraVentidue, 2022

Per capire, era necessario camminare. Lo spazio del terremoto non si vede da lontano, non si vede dall’alto: si avverte solamente quando lo si incontra, in una sorta di impatto frontale. È necessario camminare, andare a cercare lo spazio e poi tornarci, annusare l’aria e ascoltare il movimento del proprio corpo. È necessario guardare ed essere guardati, anche se spesso non c’è nessuno: sono gli edifici stessi, le case svuotate, i terreni incolti, le rovine puntellate ad ospitare gli sguardi. Abbiamo incontrato viventi ma anche spettri, presenze ormai abituate le une alle altre, capaci di coabitare. Non con serenità, perché non c’è nulla di sereno nello spazio del terremoto. Un racconto di atmosfere, di sentimenti incontrati nell’aria, di corpi che si agitano e risuonano, di distruzione e ricostruzione. È la storia dei paesaggi e delle case, delle finestre affacciate al sole e delle rovine, dei cieli sopra il Gran Sasso e anche del nostro sguardo, che ha incrociato quello delle montagne.

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Una Scossa Eredità. L’Aquila, dieci anni dopo

Eredità, patrimonio: termini ampi che coprono una vasta gamma di significati, moltiplicando le sfumature passando da una cultura all’altra. Sono anche legati al contesto: persino in un singolo ambito culturale, possono mutare nel passaggio da una città all’altra. Prendiamo come caso L’Aquila: se il 2019 marca il decennale del devastante terremoto del 6 aprile, come potrebbe essere inteso il senso della sua eredità? In che modo si sovrappone con quanto questo significa in altre città italiane, che non hanno vissuto lo stesso trauma? In che modo tale eredità può essere resa produttiva, per immaginare e creare la futura urbanità dell’Aquila?
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Rome and the Feeling of History

It is a well-known fact that modern Western culture has been obsessed with the “past” for well over three centuries. The “story of history” – if we may indulge in this calembour – is a rather long one: we could perhaps synthesize it as an urge to expand Humanity’s rational control over anything that existed, both what was physically available and what was not – because far away in either space or time. In the classical age – that period of European culture that eventually culminated in the French Enlightenment – as maps emerged as a means of describing and measuring newly discovered territories, history was intended to crystallize in a univocal and centralized way events belonging to the past, but which nevertheless were understood as still actively exerting some form of influence. No human tool is more appropriate to this end than language: Michel Foucault describes the rise of language in that period as an all-encompassing system of rationalization, capable of making the absent present:

Language gives the perpetual disruption of time the continuity of space, and it is to the degree that it analyses, articulates, and patterns presentation that it has the power to link our knowledge of things together across the dimension of time. With the advent of language, the chaotic monotony of space is fragmented, while at the same time the diversity of temporal succession is unified (p. 113).

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